COME ERAVAMO

COME ERAVAMO
DOVE ERAVAMO

mercoledì 26 settembre 2007

ESPIAZIONE

GUARDATE QUA COSA CI MANDA MARCO AGLIATA... mica ceci... La notte poteva essere spietata al campeggio, specialmente per quelli troppo distratti o troppo agitati. Culturalmente convinti dell’adagio “dura lex, sed lex” in quel lontano terzo o quarto turno del 1976 (solo 31 anni fa) avevamo a che fare con marco b. corpulenta e incontenibile furia della natura, uomo e leader totalmente privo di freni inibitori, controllato solo da due o tre persone ma di difficile gestione complessiva – di fatto era sempre pronto a tutto. Aveva non pochi lati deboli, tra questi l’ipersensibilità per l’avvenenza femminile e, sebbene non riscuotesse molto successo non se la prendeva e continuava a provarci: una macchina da guerra (non come il gentile salvatore che ha lungamente sofferto in silenzio per una persona). Serviva un piano elaborato, servivano dei complici, serviva una trappola allettante. La cosa fu architettata in questo modo: lui e il povero e inconsapevole gianni p. dovevano essere raggiunti da una soffiata che li avvisava che federica v. e elisabetta v. (complici consapevoli) li aspettavano al nuraghe (il serbatoio d’acqua verso il vecchio villaggio cadetti quando c’erano le tende) per una notte di passione. Erano tutti leader e quindi non c’erano problemi di sorta, in teoria ma …. Il tutto fu sagacemente preceduto da un editto di monaco che volle intervenire anche sugli usi e costumi dei leader, a suo dire troppo libertini, annunciando quindi che ogni effusione, incontro o altra attività losca eccessivamente animosa sarebbe stata punita severamente: cacciata a roma (ahi salvator, di quanto mal fu matre ...). Per fare questo, rendendolo più solenne, monaco fece riunire tutti i leader, fece tenere a me il discorso sui massimi sistemi e concluse sublimando ancora una volta la sua grande dote di sintesi: “il primo che si infratta gli scasso le corna e lo rispedisco a roma a calci nel sedere”. Mai sentite tante minacce (ripetute spesso e in tante occasioni ma attuate, ahi salvatore (di nuovo), solo in pochissimi casi e solo perché spinto da altri soggetti) da parte di una persona con un cuore così grande. Il discorso fu abbastanza convincente, qualche malumore, richieste di chiarimenti, conclusione: e va bene cerchiamo di non esagerare. Per non farci mancare nulla, guarda caso, proprio quella sera feci una chiacchierata con marco b. dicendogli quanto io e monaco fossimo soddisfatti del suo impegno con i ragazzi, del suo entusiasmo anche se a volte un po’ esagerato e del suo radioso avvenire, l’anno successivo, da capo villaggio per meriti conquistati sul campo. Evitai di aggiungere altre doti quali la prudenza, la saggezza, la calma, la pazienza, la cura delle cose per non generare sospetti. Insomma la fase preparatoria era terminata ora le cose dovevano accadere “da sole”. Il povero gianni p. fu praticamente trascinato a forza (tipo obelix che si portava dietro i cinghiali) perché non era convinto, temeva le nostre trame e poi non era ispirato – raro uomo di solidi principi per il quale l’infratto selvaggio non aveva nessuna attrattiva; lui grande cultore della letteratura, credeva e sognava ancora l’amore cavalleresco, quello che toglie il fiato, non era interessato a queste cose terrene. Dovette cedere (così si difese più tardi) per non rischiare a sua volta violenza sessuale per il suo rifiuto. La questione era di fondamentale importanza marco b. non si poteva presentare da solo perché le fanciulle erano in due e questo avrebbe reso il tutto improponibile perché l’uomo, a suo modo, aveva solidi principi, e che diamine! I due malcapitati, dopo manovre rocambolesche per sfuggire alla nostra vista riuscirono a dirigersi verso il luogo stabilito non sapendo che intorno ai cespugli del nuraghe c’erano almeno 10-12 persone che non volevano perdersi lo spettacolo, dovevano in qualche modo garantire l’incolumità delle ragazze dall’eventuale raptus sessuale molesto di marco b. e avevano giurato su tutto che non sarebbe volata una mosca: in effetti furono quasi di parola, rumore non ne fecero tanto, qualcos’altro si. Le due fanciulle protagoniste dello scherzo avevano già raggiunto la postazione poco prima, controllando anche nei cespugli per accertarsi di essere adeguatamente difese. Tutto sembrava perfettamente a tempo. Eravamo appostati con monaco dietro la direzione e vederli andar via fu come assistere all’ultimo miglio di due condannati alla gogna o peggio, anche perché marco b. era una persona buona, in fondo, e quello che stavamo facendo non era proprio carino, come spesso accadeva. Ma il male, ancora una volta e nonostante tutta la nostra opposizione, si era impadronito di noi e ormai non si poteva più tornare indietro; con grande sofferenza restammo fedeli alle nostre consegne, c’era uno sporco lavoro da fare e qualcuno doveva pur farlo. Il copione prevedeva che le ragazze dovessero spingersi solo a un leggero approccio fisico, restando vestite, se possibile – l’accordo prevedeva che questo approccio fosse anche un po’ rumoroso (non respiri ansimanti, per non esagerare e correre inutili rischi) cercando di ridere e parlare a voce alta per consentire a me e a monaco, stranamente di ronda proprio da quelle parti e proprio in quel momento di pescarli sul fatto. Le cose andarono più o meno così. Poco prima di mezzanotte la fatidica ronda piombò dalle parti del nuraghe attirata da rumori, voci e gridolini sospetti che, sentendo le nostre voci, si interruppero subito. Monaco cominciò a roteare la sua torcia cercando in tutte le direzioni e dicendo di aver sentito qualcosa, sicuramente c’era qualcuno, perché lì e perché ora improvvisamente questo silenzio? Per un momento immaginai le sensazione dei due malcapitati (nel 1968, da campeggista, mi ero trovato in una situazione analoga e con rischi reali di espulsione, mi salvai con mossa astuta ma tensione alle stelle), sapevano che in quella posizione non avevano scampo, eravamo troppo vicini e l’unica via di fuga era verso la peschiera. Per rendere la cosa più sofferta, dopo un sadico sguardo di intesa, monaco esclamò che non c’era niente di sospetto, che mi ero sbagliato, che ero uno disattento (la parola esatta non fu proprio quella) e che potevamo tornare indietro perché lì non succedeva nulla. Facendo finta di tornare indietro di qualche passo, notai due leader (un uomo e una donna) di cui non farò mai il nome e che nell’attesa si stavano dando da fare sul serio e a quel punto pensai veramente all’immensità dell’immaginazione umana: mentre gli attori recitavano la commedia a soggetto (per alcuni) e il prossimo e inconsapevole dramma (per altri) gli spettatori si calavano perfettamente nella parte (sia pure con gli abiti solo moderatamente scomposti) e davano libero sfogo alle loro passioni più profonde rese ancora più intense dal clima elettrizzante di quei momenti. Il delitto paga. Ovviamente le due fanciulle complici dovettero faticare un po’ a ripristinare la giusta atmosfera, i poveri malcapitati erano troppo nervosi, fiutavano il pericolo era come se si stessero rendendo conto che averla scampata una volta era già troppo e che la fortuna non sempre passa due volte, come il postino, per lo stesso posto. Ma, come dice il poeta “galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse, quel giorno più non vi leggemmo avante” e così, superati gli indugi, le resistenze e le giuste paure la tela cominciò ad essere tesa di nuovo per poter accogliere le sue prede. Come il ragno paziente aspetta che le sue prede siano ben avvolte nei suoi fili al punto da non poter più liberarsi, così i due aguzzini (io e monaco) aspettavamo in silenzio il momento giusto per intervenire. La seconda apparizione non sarebbe stata annunciata e rumorosa come la prima che aveva lasciato scampo e speranza ai due malcapitati, doveva essere fulminea e micidiale, senza lasciare scampo al dubbio e alla fuga. Quando ormai si stavano lasciando andare verso paradisi dei sensi e della mente in una tiepida notte d’estate, il postino suonò per la seconda volta. Ma anche qui le previsioni furono presto smentite. Ripreso il finto corteggiamento nel quale uno soltanto dei quattro, ignaro, interessato e convinto di poter raggiungere un qualche risultato era veramente calato nella parte e lasciati passare due minuti scarsi ecco che i torturatori si avvicinarono al luogo del misfatto in silenzio e all’ultimo metro, accesero le luci, la voce di monaco tuonò: che cosa (anche in questo caso il termine esatto non era quello) succede qui, chi siete? (volutamente l’illuminazione era stata parziale e carente per dare ancora più tensione al tutto). A quel punto il povero gianni p. rimase impietrito come colto da coma pietrificante, occhio sbarrato, respiro ansimante sudori freddi, mantenendo comunque una sua dignità, mentre marco b. con uno scatto felino si diresse verso la peschiera: all’onta e alla vergogna il poveretto preferiva la morte o un suo diretto surrogato perché la peschiera di notte non era certo il più invitante dei luoghi. Non poca fatica fu necessaria a intercettarlo e bloccarlo, gli altri imboscati dopo pochi secondi, simulando una loro casuale presenza, intervennero per contribuire al bloccaggio di quel povero disgraziato che a quel punto, vistosi perso si lasciò andare a terra, in ginocchio, senza più energie, pronto a ricevere la pena “io venni men così com’io morisse, e caddi come corpo morto cade” forse preferendo l’espiazione alla lunga agonia da peschiera. Monaco, già pronto a sbottare per le risate, riprese la concentrazione richiesta dalla parte e cominciò a gridare: disgraziato che hai fatto, maniaco, figlio di …, assassino ninfomane (nella foga il concetto veniva espresso da parecchi punti di vista) io ti distruggo, alzando il bastone (che aveva portato con se ) come un castigatore della provvidenza e calò una prima mazzata su un braccio ma che in effetti direzionò sul cespuglio accanto spaventando il povero disgraziato ancora di più. Il poveretto non reagiva, continuava a non dare segni di reazione alcuna, riceveva la sua punizione convinto che solo così avrebbe potuto espiare la sua colpa; e si sbagliava. I 4 libertini furono portati in direzione dove vennero sottoposti a un processo sommario in cui si concluse che la colpa di tentato atto sessuale (sia pure incompiuto) andava punita con il massimo della pena. Delitto e castigo Poche parole del processo. Nella direzione, alla luce elettrica tutti potevano vedere tutti e durante la requisitoria, alla presenza di pochi leader fidati, cominciò un faticosissimo esercizio a non guardarsi in faccia per evitare lo scoppio di risate; quelli che non reggendo si accorgevano di non tenere più chiedevano di poter bere un bicchier d’acqua dall’infermeria (ci fu una epidemia di assetati). Per fortuna la requisitoria durò poco, fu durissima: la fiducia tradita, il futuro radioso come leader, la parola data e giù a pioggia. Solo il povero marco b. tentò una giustificazione, qualcosa come non può essere così grave, non e successo e non sarebbe successo niente ma lo tradiva l’occhio da satiro che fu usato anche come aggravante (su questa bestialità cominciarono a uscire le lacrime dei cospiratori annunciando il temuto scoppio di risate). Inaspettatamente il povero gianni p., riconoscendo anche nella sua sola intenzione la colpa si autoespulse dal campeggio dichiarando di andare a fare le valigie e di essere pronto a partire la mattina dopo. Questa dichiarazione ricompose tutti e la drammaticità, il coinvolgimento emotivo e il dispiacere sincero del suo autore cominciò a scavare un solco in quelle dure coscienze che cominciavano ad assistere alla crudeltà dell’ingiusta espiazione. La condanna doveva essere esemplare ma immediata, un inutile e ulteriore strazio non era giusto. I quattro furono separati anche perché ormai le due fanciulle piangevano quasi a dirotto, ma non per il dispiacere, perché non potevano più trattenere le risate e le due vittime sacrificali furono fatte entrare nell’infermeria in attesa del responso che richiese un attimo di tempo perché si era ormai capito che alla comunicazione dello scherzo ai due derelitti ci sarebbe scappato il morto quindi bisognava ritardare il più possibile i loro movimenti e facilitare la nostra fuga. La decisione fu presa rapidamente, monaco avrebbe messo in salvo le ragazze, io dovevo ritardare l’assalto e dichiarare lo scherzo: era un lavoro ancora più sporco e nessuno voleva farlo. Monaco prese le chiavi della macchina e si preparò a muoversi ma non voleva perdere la scena quindi i due disgraziati furono spostati nella stanza della direzione con finestra (con grate) aperta sulla macchina di monaco con lui accanto pronto a sparire e le due ragazze di fronte ai rispettivi sportelli (sembrava una partenza della 24 ore di Le Mans con equipaggio multiplo). Io entrai nella stanza parlando a voce un po’ alta perché da sotto sentissero bene tutto, nel frattempo sopraggiungevano anche altri leader. Con espressione seria cominciai la lettura del verdetto: (la ricostruzione è indicativa ma la sequenza è corretta) ragazzi, la cosa è molto seria, non è possibile dare una parola e poi fare l’opposto, dove sono andati i valori, dove sono andati i nostri convincimenti più saldi, ma , soprattutto, dove sono andati i nostri sentimenti - abbiamo apprezzato che nessuno dei due ha cercato inutili scuse, ciascuno si è assunto le proprie responsabilità, questo è bello, ci conosciamo da lungo tempo e con te gianni p. da una vita, non è possibile che non abbiate ancora capito che la vita reale ha molte sfaccettature e non sempre quello che vediamo è reale, non è possibile cadere al primo passo sia pure invitante, non è possibile pensare che tutto sia possibile e non accorgersi di quanto sia facile cadere in terra, perdere la lucidità e non capire che quello che avete ricevuto è stato un invito fatto da due attrici consumate che vi hanno intortato come due tordi – pausa – salutino delle due ragazze dalla finestra con voce in falsetto mentre montano sulla macchina di monaco che accende il motore e parte a razzo. Poche volte ho visto il male prendere forma, sotto sembianze umane, con tale violenza e impressionante velocità nello spirito di due persone sostanzialmente di buon animo ma la rabbia era troppa, la tensione esplose e si lanciarono verso la porta per strangolarmi (parlo di strangolamento perché sono un inguaribile ottimista) o altro? – non interessato a chiarire il dilemma mi catapultai fuori della direzione riuscendo a vedere le luci posteriori della macchina di monaco (la vecchia 1300 Fiat color amaranto) all’altezza della loggia, qualche leader sparpagliato intorno alla direzione (chissà se la mia prossima morte avrebbe ulteriormente stimolato i due infrattati veri che non avevo più visto?) e cominciai a correre pensando solo a sentire più vento possibile sulla faccia; una buona prestazione sugli ottocento piani mi ha permesso di raccontare questa storia. Le forme di espiazione assumono sempre configurazioni e destinazioni diverse da quelle immaginate ma una volta ricongiunti, 30 minuti abbondanti di risate liberatorie ci resero più sereni.

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